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Quella volta che ho corso con Moser, Ballan ed Evans

ma pure con Fondriest, Magrini e altri,

e in cui ho visto da vicino Nibali, Balsamo, Ciccone e Longo Borghini e gente del genere




Words by Fabio | Photography by Fabio & Miriam | Styling by Beatrice

10 Giugno 2022

Sono sulla linea di partenza, giusto davanti a me sono schierati, da sinistra a destra, Cadel Evans, Alessandro Ballan, Riccardo Magrini, Maurizio Fondriest e Francesco Moser. 

Attorno a noi la folla arrivata in piazza a Valdobbiadene è assiepata lungo le transenne e ci guarda, scatta foto e gira video, ascolta le parole dei due speaker che intervistano i grandi nomi della prima fila, e nel frattempo cerca di riconoscere chi siamo noi altri, quelli meno noti delle file più indietro.

Il meno noto di tutti sono certamente io, per il semplicissimo fatto che non sono noto per niente, dal momento che sono qui in mezzo al gruppo degli ex professionisti che stanno per partecipare al Cycling Stars Criterium senza nessun credito, non avendo mai corso una gara di bicicletta in vita mia.

Se mi trovo dove mi trovo, infatti, attorniato da ex campioni del mondo, vincitori di Classiche Monumento e tappe nei Grandi Giri, è solo nella bizzarra veste di inviato/imbucato in corsa, su mandato di AT Communication che segue la comunicazione del Criterium. 

Il mio compito è partecipare alla gara, raccogliere qualche spunto da insider e poi raccontarlo in un articolo, questo.

Lo speaker ha finito di intervistare i grandi nomi e dà il via al conto alla rovescia.

Gesù, che tensione. 

Ho in testa solo due cose. 

A: non farmi staccare subito al primo giro, ma di reggerne almeno, boh, tre o quattro dei quindici in programma.

B: soprattutto, come continuo a ripetermi da  una settimana, cercare di non far cadere nessuno.

Partiamo.

I primi giri li facciamo a velocità allegra andante ma ancora sostenibile.

Riesco anche a fare due chiacchiere con Paolo Simion, ex Bardiani, che ha smesso appena un anno fa.  Mi racconta che è appena passato dalle mie parti durante la Veneto Gravel, qualcosa come 600 km e 5000 metri di dislivello che ha chiuso a 27 all’ora di media.

Poi mi vedo passare accanto Cadel Evans, nientemeno. Lo saluto e gli chiedo se ha mai corso da queste parti (forse dovrei saperlo da solo, se e quando e come ha gareggiato su queste strade, e fargli delle domande mirate, chirurgiche, irresistibili. Ma il ritmo intanto si è alzato e faccio già fatica a restare attaccato al gruppo, figurarsi a pensare e parlare). 

Col suo ottimo italiano dice che in mattinata ha fatto un giro con la famiglia a Rolle e al Molinetto della croda e gli sono piaciuti tantissimo, e spera di tornarci con calma un’altra volta. Deve aver detto anche qualcosa sul Prosecco ma non sono sicuro, perché nel frattempo lì davanti qualcuno ha accelerato e sono rimasto indietro.

Degli ultimi giri mi ricordo soltanto: di aver intravisto Ballan partire da solo come quella volta a Varese, con il pubblico che come allora ha accolto quello scatto tanto atteso con un boato; Magrini che a sua volta accenna un attacco con la bici elettrica; la voce dello speaker che accompagna gli scatti dei campioni che vanno a giocarsi la vittoria, mentre io, molto più indietro, faccio gruppetto con i più attempati della compagnia.

Tagliamo il traguardo anche noi.

Vengo a sapere che ha vinto Evans, secondo Fondriest e terzo Lello Ferrara.

Io, credo di essere arrivato terzultimo.

Ma posso essere felice, mi sono staccato solo negli ultimi tre giri e sono riuscito a non cadere e non far cadere nessuno. 

Dò un’occhiata al mio contachilometri, dice media di 32 km all’ora, su un circuito tecnico pieno di curve e saliscendi. 

Quelli davanti avranno sicuramente superato i 35. E allora mi chiedo, mentre entro nel bus per cambiarmi (e dove mi tolgo la piccola ma deliziosa soddisfazione di prendere una lattina di Coca Cola dal frigo zeppo di bibite, acqua, integratori, barrette, come si vede fare ai corridori veri in tv) e allora mi chiedo: se gli ex-pro sono andati così, a quanto andranno i professionisti? 

Quando scendo dal bus le donne – grande novità di quest’edizione del Cycling Stars Criterium – sono già schierate sulla linea di partenza.

Rispetto ad un’ora fa il pubblico è ancora più fitto e in piazza non c’è quasi più posto.

Vedo in prima fila la maglia di Campionessa del Mondo di Elisa Balsamo, quella di Campionessa Italiana di Elisa Longo Borghini, e poi riconosco Soraya Paladin, Vittoria Guazzini e Sofia Bertizzolo.

In tutto sono venticinque, tra cui sette juniores di due squadre locali.

Prima che lo speaker dia il via ufficiale torno nella zona transennata, salgo di nuovo sul bus in cerca di un’altra Coca Cola (come si fa in fretta, ad abituarsi ai piccoli privilegi) e dentro ci trovo seduti alcuni dei professionisti che correranno tra un’oretta. 

Riconosco Vendrame, Cataldo, Bilbao, Ciccone, Formolo e Nibali. Scatto una foto.

Tutta gente che ieri era al Giro d’Italia e adesso è qui, davanti a me. 

E allora capisco perché sono così importanti manifestazioni come queste, che un tempo erano molto numerose e poi chissà perché sono sparite, ed oggi stanno tornando grazie all’impegno di Enrico Bonsembiante e Alessandro Ballan.

Perché ricuciono il rapporto fondamentale tra campioni e tifosi, tra il ciclismo e il suo pubblico, perché sono due cose nate assieme e che si nutrono l’una dell’altra. Che hanno bisogno, per esistere, di stare assieme, di stare vicine.

Esco dal bus e torno davanti alla partenza, assieme alla moltitudine di persone che aspettano il via della gara delle donne.
Lo speaker finisce il conto alla rovescia e le atlete partono, accolte da un boato.
Ho deciso che resterò qui, assieme a tutti gli altri, a godermi la gara.

Perché adesso lo spettacolo del Cycling Stars Criterium è davvero cominciato.