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Bettini e i 20 anni di Milano - Sanremo

 Un traguardo e quattro braccia al cielo



Words by Miriam |  Styling by Beatrice

17 Marzo 2023 

Paolo Bettini, quella Sanremo del 2003 – giusto vent’anni fa – voleva vincerla ad ogni costo.

Era così convinto di riuscirci che la sera prima, dopo aver dato la buonanotte al suo compagno di camera, riaccese la luce, si alzò e si vestì di tutto punto, come dovesse partire per la gara.

Quando il compagno di camera gli chiese cosa stesse facendo, invece che lasciarlo riposare, rispose:

“Voglio essere sicuro che la maglia mi stia bene per domani, quando esulterò sul traguardo di via Roma”.

L’altro si fece una risata ma capì, perché non era solo un compagno di camera e di squadra, era un amico, quasi un fratello: Luca Paolini.

Nei mesi precedenti avevano studiato e riprovato il finale di gara decine di volte, concordando assieme il luogo e il modo in cui attaccare. 

Entrambi abitavano a Monacò e almeno due volte a settimana andavano ad allenarsi da quelle parti: i Capi, Cipressa, via Aurelia, Poggio, i Capi, Cipressa, via Aurelia, Poggio, come una litania.

Il piano concordato era questo. Paolini sarebbe scattata nella rampa finale del Poggio, a un chilometro dallo scollinamento, spezzando il gruppo e portandosi dietro Bettini.

Ma i piani concordati, quando correva il Grillo, non duravano granché.

Infatti il giorno della gara Bettini decise di anticipare e scattò sulla Cipressa, contrariamente a quanto deciso in ammiraglia, riuscendo a portar via un gruppetto di corridori che però per vari motivi non collaboravano alla fuga. 

Dietro di loro il treno di Cipollini incalzava, quindi Bettini provò un’azione tanto coraggiosa quanto disperata. Scattò, di nuovo, stavolta da solo, stavolta in pianura, cercando di resistere ad un gruppo che lo inseguiva a 60 km/h per imboccare il Poggio.

Venne raggiunto e mentre si faceva sfilare già i suoi pensieri consideravano quella Sanremo come un’occasione sfumata, persa per quella foga, quella spontaneità, quell’imprevedibilità che ha sempre caratterizzato il suo modo di correre.

In quel momento sentì una voce dirgli:

“Mettiti a ruota e seguimi. Vedrai, tutti gli altri sono più cotti di te.”

Era Paolini, naturalmente, che dopo tutti quei mesi di allenamenti e preparativi e tattiche, non si sarebbe arreso così facilmente.

E infatti non lo fece.

Scortò il compagno per tutto il Poggio e giunti al punto decisivo attaccò come previsto, nel punto in cui tutti sapevano avrebbe attaccato, e il gruppo si frantumò. 

Pennellò le curve della discesa mentre il Grillo stava a ruota di Celestino, unico del resto del mondo ad aver resistito allo scatto. Tirò ancora, vento in faccia, negli ultimi 2000 metri di pianura mettendo Bettini nella posizione migliore per lanciare una volata lunghissima, una volata in cui non ci fu mai storia. Celestino provò a rispondere più per dovere che per convinzione e il Grillo s’involò a fare suo l’arrivo di via Roma, la prima Classica Monumento di quel 2003.

Nella foto finale si vede Bettini esplodere in un grido, esultando nella posa che aveva studiato la sera precedente.

Appena dietro, come in una fotocopia, altre due braccia si levano in aria, quelle di chi ha fatto vincere un amico, e perciò è quasi più felice di lui.

Una foto che in questi giorni compie vent’anni, ma che racconta una storia di ciclismo tanto vivida che tutti si ricordano come fosse ieri.

La storia di un traguardo, due fratelli e quattro braccia al cielo.